Art. 1137 – Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea

Giugno 3, 2024 Codice Civile Gianni S.

La disposizione permette ai condomini che non hanno espresso voto favorevole alla delibera adottata dall’assemblea, oltre che a coloro che non hanno votato, di impugnare la stessa, se contraria alla legge od al regolamento condominiale.

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La disposizione non considera, però, le delibere viziate da nullità, in quanto illecite ovvero mancanti di un elemento essenziale, in riferimento alle quali è sempre possibile l’impugnazione in ogni tempo e da parte di chiunque (es.: le delibere adottate dall’assemblea alla quale non siano stati invitati tutti i condomini).

Essa, inoltre, non riguarda le delibere affette da nullità relativa: ne sono esempio quelle che pregiudicano la proprietà esclusiva di certi condomini, sempre impugnabili in ogni tempo solo singolarmente da ognuno di essi.

Art. 1137 – Costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni.
Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria.
L’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione.

Obbligo di eseguire le delibere

Alla piena efficacia delle deliberazioni assembleari nei confronti di tutta la collettività condominiale è riconnesso l’obbligo in capo all’amministratore di darvi tempestiva ed esaustiva esecuzione.

A tal proposito, la riforma ha previsto, all’obbligo esecuzione delibere, dodicesimo comma, n. 2, c.c., un espresso caso di “revoca titolata” per mano dell’autorità giudiziaria nei confronti dell’amministratore di condominio che non ha dato esecuzione alle deliberazioni assunte dall’assemblea dei condomini.

In tema di rimedi attribuiti dall’ordinamento al condomino che vuole fare accertare eventuali difformità tra le statuizioni assunte dal consesso assembleare e le disposizioni della legge o del regolamento di condominio, l’art. 1137, secondo comma, c.c. statuisce che contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre per i condomini dissenzienti od astenuti dalla data della deliberazione e per i condomini assenti dalla data di comunicazione della deliberazione.

Il termine dei 30 giorni

Preliminarmente occorre precisare che il termine dei trenta giorni per l’impugnazione si riferisce solo alle delibere che rientrano fra quelle annullabili e non anche alle deliberazioni nulle, che invece possono essere impugnate dai condòmini senza limiti di tempo.

Per quanto riguarda le delibere annullabili, quindi, al condomino assente è consentito conteggiare i trenta giorni per l’impugnazione a partire dalla data in cui riceve il verbale e non da quella in cui si svolge l’adunanza (alla quale non è presente e così, se anche lui fosse tenuto a fare ugualmente riferimento a quella data, risulterebbe penalizzato rispetto ai condòmini presenti).

Attraverso questa prescrizione l’articolo 1137 garantisce il diritto di impugnare una delibera adottata dall’assemblea condominiale a tutti i condòmini che, presenti o assenti, non hanno votato a favore della sua approvazione. Esiste però un altro caso, che fuoriesce da questa impostazione normativa, in cui è ugualmente ammesso il diritto di impugnazione. Si tratta, anzi, di una ipotesi molto importante ed è proprio per questo motivo che rappresenta una eccezione alla regola generale prevista dall’articolo 1137.

L’impugnazione delle delibera nulla

Nel caso di delibera nulla, anche al condomino che nel corso dell’assemblea ha votato a favore della delibera, è consentito impugnarla.

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Le ipotesi del condomino assente o dissenziente, che erano presenti fin dalla versione originaria della disposizione del Codice civile, a cui la legge di riforma del condominio 220/2012 ha aggiunto la legittimazione ad impugnare le delibere condominiali anche per il condomino astenuto, vengono completate col riconoscimento del diritto di impugnazione, ma solo con riguardo alle deliberazioni nulle, anche al condomino che ha votato in senso favorevole.

In questo modo sono ampliate le possibilità di impugnazione delle delibere condominiali, estendendo la tutela giudiziaria di cui si possono avvalere i condòmini.

Ma come si giustifica il riconoscimento del diritto di impugnazione delle delibere nulle anche al condomino che ha votato a favore della stessa delibera che poi impugna? Nell’ultima decisione emessa in proposito (Cassazione sentenza 14 giungo 2013, numero 15042, relativa ad una delibera dell’assemblea condominiale che aveva per oggetto la modifica, senza il consenso di tutti i condòmini, dei criteri legali e di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune) viene rilevato che trova applicazione l’articolo 1421 del Codice civile (secondo cui, tranne che in presenza di differenti disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice) e che quindi le azioni di nullità relative alle delibere condominiali possono essere proposte da chiunque vi abbia interesse, compreso lo stesso condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla.

Deliberazioni nulle e annullabili

La legge non fa distinzione tra deliberazioni nulle e annullabili. Si tratta d’una elaborazione della cause d’invalidità di natura giurisprudenziale che incide notevolmente sul diritto ad impugnare o meglio sulle decadenze in capo al titolare del diritto. La delibera nulla può essere impugnata in ogni tempo (anche anni dopo la sua approvazione) quella annullabile entro 30 giorni come specificato dal succitato terzo comma dell’art. 1137 c.c.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione e via di seguito tutte le successive pronunce giurisprudenziali hanno chiarito che “ sono da ritenersi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, ritenersi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all’oggetto” (Cass. SS.UU. 7 marzo 2005, n. 4806).

La dottrina annovera principalmente, tra i casi di nullità della delibera assembleare:

  • deliberazioni il cui oggetto sia illecito o impossibile;
  • deliberazioni il cui oggetto abbia ecceduto i limiti previsti dalla legge o che non rientra nelle competenze dell’assemblea;
  • deliberazioni affette da vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea o alla formazione della volontà della maggioranza prescritta dalla legge;
  • deliberazioni adottate con maggioranze inferiori alle prescritte;
  • deliberazioni che incidono su diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva dei condomini.

Viceversa, sono ritenute semplicemente annullabili:

  • deliberazioni contrarie alla legge che, tuttavia, riguardano un oggetto che rientra tra i poteri dell’assemblea;
  • deliberazioni affette da vizi formali attinenti al procedimento di convocazione dell’assemblea (cfr. art. 63 delle disp. att. c.c.) o di informazione della stessa.
  • deliberazioni viziate da eccesso di potere o da incompetenza.
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La dimostrazione di interesse

È richiesto soltanto che egli alleghi e dimostri di avervi interesse nel senso che dalla deliberazione assembleare derivi un apprezzabile pregiudizio a suo carico, dato che non opera nel diritto sostanziale la regola processuale secondo cui chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere.

Nel caso specifico è stata ritenuta affetta da nullità una deliberazione dell’assemblea condominiale che, in assenza del consenso di tutti i condòmini, aveva preteso di modificare i criteri, previsti dall’articolo 1123 del Codice civile o dal regolamento contrattuale, di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell’interesse comune, in considerazione del fatto che le deroghe venivano ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà che invece esige una convenzione a cui egli aderisca; e quindi è stata ammessa l’impugnazione azionata da un condomino che aveva votato in suo favore.

Impugnazione e sospensione della delibera

È noto che l’impugnazione di una deliberazione condominiale non comporti automaticamente la sua sospensione; ciò significa che essa continua ad essere efficace nonostante sia pendente un procedimento giudiziario. Così testualmente il terzo comma dell’articolo 1137 del codice civile: «L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria».

Per ottenere la sospensione della delibera condominiale occorre quindi avanzare un’apposita istanza, eventualmente anche prima dell’inizio della causa di merito, sulla quale il magistrato dovrà decidere valutando i possibili ed irrimediabili danni che dall’esecuzione della stessa possono derivare.

A seguito della riforma Cartabia, la disciplina della sospensione della delibera condominiale ha subito modifiche infatti è proponibile l’istanza per ottenere la sospensione, proposta prima dell’inizio della causa di merito, ma tale azione non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione.

Ciò significa che, in queste ipotesi, il condomino è costretto a percorrere una strada biforcuta: da un lato, deve proporre ricorso per ottenere la sospensione in via cautelare (l’art. 669-bis cod. proc. civ. asserisce espressamente che «La domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente», escludendo quindi radicalmente l’atto di citazione); dall’altro, entro il consueto termine di trenta giorni, deve proporre impugnazione, previo esperimento della mediazione obbligatoria.

La scelta del legislatore, secondo cui l’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione salvo che questa non venga ordinata dall’autorità giudiziaria, mira a salvare l’immediata efficacia delle decisioni assembleari da pretestuose azioni giudiziarie che, se avessero sempre la capacità di sospendere l’esecuzione delle deliberazioni impugnate, rischierebbero di condurre la gestione condominiale a una pericolosa stasi.

Per questo motivo nel caso di ordinanza di accoglimento della sospensione il giudice non deve fissare alcun termine perentorio per incardinare il giudizio di merito perchè è evidente lo scopo deflattivo del contenzioso, che mediante l’ordinanza invita l’attore ad “accontentarsi” del provvedimento cautelare il quale, già da solo, potrebbe soddisfare le sue pretese, ed evitare il giudizio di merito.

Si può ipotizzare che  la riforma Cartabia ha lo scopo è di scoraggiare il ricorso al giudizio di merito ritenendo sufficiente la tutela approntata in via cautelare, la quale non decade anche se non seguita da un accertamento a cognizione piena. Appare chiaro quindi che la riforma non esclude che il provvedimento cautelare di sospensione possa essere impugnato attraverso la proposizione di un reclamo, così come non è escluso che il giudizio instaurato dal singolo condomino possa proseguire su iniziativa del condominio convenuto.

Questo contributo è stato scritto dal dott. Gianni Salvati, titolare dello studio. Ha conseguito laurea in giurisprudenza ed ha esercitato la pratica forense prevista per legge. E’ abilitato alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali ex d.lgs. 28/2010. Ed ha conseguito il Master per revisori per la contabilità condominiale. Esercita l’attività di amministratore di condominio sul territorio di Pomezia dal 1995.

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