Gestioni Condominiali Pomezia - Studio Salvati
Amministratore condominio – Revisore bilanci condominiali – Pomezia
Nelle dinamiche di gestione condomiale capita di dover valutare se, in occasione della stipula di un determinato contratto, il condominio debba essere considerato un consumatore oppure no.
La questione può assumere molta importanza in quanto determina se sia possibile o meno applicare, ai negozi giuridici conclusi dall’amministratore di condominio, la disciplina prevista a tutela del consumatore, dagli art. 33 ss. del codice del consumo.
Sebbene vi siano pronunzie disomogenee molte sentenze della giurisprudenza di merito estendono al condominio le disposizioni previste, dall’ordinamento italiano e comunitario, a tutela del consumatore. Quindi possiamo affermare che il condominio è, da diverso tempo considerato un consumatore dalla giurisprudenza di merito e dalla stessa Corte di Cassazione.
L’orientamento giurisprudenziale favorevole all’applicabilità della disciplina consumeristica al condominio si è basato, e continua a basarsi, sul presupposto che l’amministratore agisca quale rappresentante della comunità dei condòmini.
Per tale via i rapporti giuridici derivanti dai contratti stipulati dall’amministratore fanno direttamente e collettivamente capo all’insieme dei condòmini, e non al condominio inteso come soggetto separato e distinto rispetto dai singoli proprietari.
Secondo questa impostazione, prevalente in giurisprudenza, il condominio è un mero ente di gestione sfornito di personalità giuridica e ciò comporta che gli effetti giuridici dei negozi conclusi dall’amministratore si producano direttamente in capo ai singoli condòmini, e non al condominio in quanto tale.
Tale impostazione, qualora si attribuisse al condominio la qualifica di consumatore, giungerebbe ad una conclusione non priva di conseguenze. Basti pensare alle innumerevoli disposizioni di tutela applicabili esclusivamente ai rapporti tra professionista e consumatore; a partire dal così detto foro del consumatore, passando per il principio di trasparenza, per finire alla disciplina delle clausole vessatorie
Per quanto riguarda la Giurisprudenza in Italia, sia quella di legittimità che di merito, sin dai primi anni duemila, si era già espressa favorevolmente al riconoscimento del condominio quale consumatore con la conseguente applicazione della normativa di riferimento, codificata nel codice del consumo.
Con orientamento pressochè costante la Cassazione, nel tempo, ha stabilito che al contratto concluso con il professionista dall’amministratore del condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si debbano applicare, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, gli artt. 1469 bis ss. c.c. (oggi 33 ss. c. cons.), atteso che l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condòmini, i quali “vanno senz’altro considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. (Corte di Cassazione n. 14475 del 28/05/2019, conformi: Cassazione civile sez. VI, 22/05/2015, n.10679 Cassazione civile, sez. III, 24 luglio 2001, n.10086, Cassazione civile, sez. III, 12 gennaio 2005, n.452).
Indubbiamente, l”aver fatto rientrare nel novero dello status giuridico di consumatore anche il condominio, può essere considerato come un primo passo per il superamento dei limiti posti dalla nozione codicistica di consumatore.
Infatti in difetto di una norma che indichi chiaramente che “il condominio è un consumatore”, ad oggi, l’unica norma a cui fare riferimento è l’art. 3, lett. a), del d.lgs. n. 206 del 2005 (c.d. Codice del consumo), che definisce consumatore «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta».
Già nel 2019 fu sollevata la questione pregiudiziale, avanti alla Corte della giustizia UE per chiarire se la nozione di “consumatore” – quale accolta dagli artt. 1, par. 1, e 2, lett. b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 – potesse calzare alla qualificazione di un soggetto, quale il condominio nell’ordinamento italiano, che non era riconducibile né alla persona fisica né alla persona giuridica, allorquando tale soggetto concludesse un contratto per scopi estranei all’attività professionale.
I giudici di Lussemburgo si sono espressi nel senso che tali articoli «devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno, in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche ad un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico, quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’àmbito di applicazione della suddetta direttiva». (Corte giust. UE 2 aprile 2020, C-329/19)
La Corte Europea da un lato, ha dato atto che il condominio non è una “persona fisica” e, quindi, non può essere considerato un consumatore, e dall’altro, ha evidenziato che la direttiva 93/13/CEE aveva offerto solo “un’armonizzazione parziale e minima” delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive, lasciando, però, impregiudicata la possibilità, da parte dei singoli Stati membri, di garantire – sempre nel rispetto del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – un “più elevato livello di protezione” per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle contenute nella medesima direttiva.
La decisione in parola ha stabilito, limitatamente all’ordinamento italiano, che il condominio può essere considerato consumatore anche se non è una persona fisica. Infatti anche se il condominio non è una persona fisica nel momento in cui conclude un contratto con un professionista può essere considerato consumatore ai sensi della direttiva CEE n,93/13. Inoltre nulla esclude che uno Stato membro, nel recepire la direttiva citata, possa interpretarla in senso più ampio e favorevole, tale da far rientrare nella nozione di consumatore anche il condominio che non è una persona fisica, né giuridica, ma un mero ente di gestione.
In tema di contratti del consumatore può capitare di imbattersi in clausole vessatorie. Cioè regole contenute nell’accordo che presentano un carattere abusivo. Tali clausole, predisposte dal professionista, vanno valutate alla luce del principio generale, secondo cui sono abusive le clausole che determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
In base all’art. 36 del Codice del Consumo, in particolare, le clausole considerate vessatorie sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto.
A tal proposito si deve, peraltro, chiarire che la nozione di significativo squilibrio (contenuta nell’art. 33 del Codice del Consumo), relativamente alle clausole vessatorie contenute nei contratti tra professionista e consumatore, fa esclusivo riferimento ad uno squilibrio di carattere giuridico e normativo, riguardante la distribuzione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, non consentendo invece di sindacare l’equilibrio economico, ossia la convenienza economica dell’affare concluso.
Un caso emblematico è nella sentenza 29 agosto 2023, n. 3600 in cui una società esercente attività di manutenzione di ascensori proponeva ricorso per decreto ingiuntivo allo scopo di ottenere il pagamento di una somma giustificata da una fattura emessa per delle prestazioni manutentive in favore di un Condominio.
Quest’ultimo proponeva opposizione dinanzi al Giudice di pace, deducendo l’illegittimità della pretesa all’ottenimento della somma ingiunta, siccome fondata su un contratto, la cui clausola relativa alla determinazione dei canoni dovuti per siffatta attività, si sarebbe dovuta considerare vessatoria ai sensi del D.Lgs. n. 206/2005 – c.d. “codice del consumo” (visto che veniva contemplata una penale, per l’eventualità del recesso da parte del committente, pari al 60% del canone per ogni mese fino alla scadenza del contratto, trattandosi di contratto stipulato nel 2011 con durata decennale).
Il Tribunale, previa rilevazione della vessatorietà della clausola oggetto del contendere, dichiarava che l’appellante non era tenuto a corrispondere, in favore dell’appellata, la somma portata dal decreto monitorio perchè la citata clausola, nella parte in cui ha imposto ai condomini il pagamento dell’intero corrispettivo senza ricevere alcuna controprestazione per quasi tutta la durata del contratto rinnovato, determina un chiaro squilibrio del rapporto contrattuale in favore della ditta appaltatrice, che, di fatto, senza dover compiere alcun tipo di attività si assicura in tal modo l’intera prestazione di pagamento senza sopportare alcun tipo di sacrificio.
La clausola che prevede, in caso di risoluzione anticipata richiesta dal consumatore o per fatto allo stesso imputabile a titolo di colpa, di corrispondere l’intero canone pattuito fino alla scadenza naturale del contratto risulta vessatoria ai sensi dell’articolo 33, lettera f ), del Codice del Consumo
Spesso le principali vicende in materia di clausole vessatorie osservabili nei contratti condominiali sono rinvenibili nel c.d. contratto per la manutenzione dell’ascensore.
Esso si configura come contratto di durata, mutuando taluni elementi specifici del contratto di somministrazione (art. 1677 c.c.), come il pagamento del prezzo all’atto delle singole prestazioni (art. 1562 c.c.), la risoluzione in caso di inadempimento notevole, avuto riguardo alle singole prestazioni di pagamento, tale da menomare la fiducia nell’esatto adempimento delle successive (art. 1564 c.c.), il patto di preferenza in caso di rinnovo (art. 1566 c.c.).
La peculiarità dell’oggetto e la sua necessaria conformità alla normativa di sicurezza, articola di regola l’intervento della società manutentrice secondo tre diverse tipologie.
La prima attiene agli interventi effettuati su richiesta del condominio utente, per esempio in caso di guasti.
Si tratta in genere della previsione di interventi di emergenza per i quali il contratto dovrà specificare tempi di intervento e reperibilità dell’operatore, oltre ai costi specifici distinti per la manodopera anche in relazione all’urgenza e all’orario di intervento e i criteri per la quantificazione dei costi di sostituzione di parti con riferimento ai listini applicabili.
La seconda è poi la manutenzione ordinaria o periodica che dovrà prevedere un numero minimo di interventi per ciascun periodo di durata, finalizzati alla verifica delle parti meccaniche e della regolarità del funzionamento, con quegli interventi conservativi atti a prevenire guasti e incidenti (per esempio, lubrificazioni e ingrassamento degli ingranaggi, pulizia, taratura ai piani, meccanismi di apertura e chiusura delle porte): il costo dell’intervento include manodopera e materiali.
Le prestazioni di manutenzione periodica sono generalmente assoggettate alla corresponsione di un canone mensile o annuale, al quale rimangono estranei gli interventi straordinari e la sostituzione di parti meccaniche.
La terza infine, prevede che la ditta appaltatrice dovrà effettuare i controlli e le visite ispettive periodiche secondo le scadenze previste dalla legge, da annotare sulla scheda di manutenzione, trattenuta dall’appaltatore a disposizione del condominio, secondo quanto disposto dal D.P.R. 29 maggio 1963, n. 1497.
Resta sottinteso che a tutela della proprietà condominiale e di quella esclusiva dei singoli condomini, dovrà prevedersi la stipulazione di idonea copertura assicurativa a copertura dei rischi per i danni a persone e cose derivanti da fatto dell’appaltatore.
Precisato questo è opportuno porsi la questione della natura vessatoria delle clausole che sanciscono a favore dell’appaltatore limitazioni della responsabilità ovvero costi aggiuntivi a carico del condominio.
Così ad esempio, la clausola che prevede l’assistenza in caso di visite ispettive di enti pubblici preposti alla vigilanza sulla normativa di sicurezza, quella che prevede costi aggiuntivi per le riparazioni derivanti da un uso anomalo dell’ascensore da parte di condomini o di terzi.
Parimenti vessatorie sono clausole che prevedono l’applicazione di interessi di mora in caso di ritardato pagamento o la sospensione del servizio manutentivo nella stessa ipotesi, o ancora quelle che prevedono la continuità del canone anche in caso di sospensione del servizio imputabile a cause esterne al condominio e all’impresa di manutenzione.
Non necessariamente di natura vessatoria, ma connessa con la natura di contratto di durata può essere la clausola di revisione del canone, purché ancorata a limiti percentuali ovvero a criteri estimativi predeterminati.
La possibilità del subappalto del servizio di manutenzione appare sovente inserita nei modelli contrattuali utilizzati in concreto: deve ritenersi, tuttavia, che tale clausola non sia compatibile con la natura fiduciaria dell’appalto, soprattutto qualora escluda la responsabilità dell’appaltatore per le obbligazioni assunte in contratto.
La recente normativa in materia di regolarità previdenziale e contributiva impone all’amministratore prima di effettuare i pagamenti di conseguire la relativa certificazione applicandosi anche all’appalto di specie la disciplina di cui all’art. 1676 c.c. il quale istituisce azione diretta degli ausiliari dell’appaltatore nei confronti del condominio committente.
Sul punto è utile quindi ricordare alcune decisioni intervenute in materia che riguardano
Interessi di mora sproporzionati
Nell’ambito di un contratto di fornitura del servizio riscaldamento, la clausola secondo cui, in caso di ritardato pagamento, i condomini – committenti si obbligano a corrispondere interessi di mora al tasso del 9.25% non è valida perché decisamente vessatoria ex articolo 33, lettera f), del Codice del Consumo (Trib. Milano, sez. III, 26 novembre 2020).
Infatti il professionista/imprenditore non può ragionevolmente aspettarsi l’adesione del consumatore ad una clausola determinativa degli interessi moratori in misura superiore a quella prevista per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (il saggio d’interesse per il semestre 1 luglio – 31 dicembre 2021 è stato fissato allo 0,00% ma sommato alla maggiorazione prevista di 8 punti, il tasso da applicare risulta pertanto dell’8,00% – MEF- Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore nei casi di ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali GU Serie Generale n.166 del 13-07-2021).
Rinnovo automatico e disdetta nella manutenzione degli impianti
È possibile che nei contratti di manutenzione degli impianti condominiali sia previsto il rinnovo automatico, salvo disdetta da comunicare a mezzo raccomandata sei mesi prima o un anno prima del termine contrattualmente indicato.
Le clausole che prevedono tali termini devono essere considerate vessatorie (ex articolo 33, comma 2, lettera i) del Codice del Consumo) perché stabiliscono un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione. Tenuto conto della natura del servizio di manutenzione e delle sue caratteristiche la previsione, di un termine per la disdetta molto anticipato rispetto alla scadenza del contratto appare tutelare principalmente l’interesse del professionista stesso, non solo per meglio organizzare e programmare l’attività d’impresa, ma anche per assicurarsi una base il più possibile stabile di clientela, rendendone più difficile la mobilità verso altri operatori.
La penale eccessiva
Nell’ambito dei contratti di manutenzione degli impianti condominiali un’altra clausola vessatoria ex articolo 33, lettera f), del Codice del Consumo è quella che prevede, in caso di risoluzione anticipata per fatto imputabile al condominio, di corrispondere l’intero canone pattuito fino alla scadenza naturale del contratto. Tale clausola genera un significativo squilibrio a danno del consumatore. Ciò perché l’intero canone pattuito nel contratto – che costituisce la penale per inadempimento – è il quantum dovuto dal consumatore per tutte le attività che l’impresa avrebbe dovuto svolgere nel corso della validità dell’intero contratto di manutenzione, che normalmente ha durata pluriennale.
Del resto, trattandosi di un contratto di durata, a prestazioni periodiche, in caso di risoluzione anticipata dello stesso – ancorché per inadempimento del consumatore – una parte, potenzialmente anche molto rilevante, delle prestazioni di manutenzione non verrà resa affatto proprio a causa dell’intervenuta cessazione del rapporto, essendo non di meno dovuto dal consumatore-condominio l’intero corrispettivo.
Naturalmente la clausola penale manifestamente eccessiva andrà ridotta dal giudice, anche d’ufficio, nell’esercizio del potere correttivo della volontà delle parti contrattuali affidatogli dalla legge, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento degli interessi contrapposti (Cass. civ., sez. III, 30/09/2021, n. 26531).
Codice del consumo
Art. 33 — Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore
Art. 34 — Accertamento della vessatorietà delle clausole
Art. 35 — Forma e interpretazione
Art. 36 — Nullità di protezione
Art. 37 — Azione inibitoria
Art. 37 bis — Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie
Art. 38 — Rinvio
Questo contributo è stato scritto dal dott. Gianni Salvati, titolare dello studio. Ha conseguito laurea in giurisprudenza ed ha esercitato la pratica forense prevista per legge. E’ abilitato alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali ex d.lgs. 28/2010. Ed ha conseguito il Master per revisori per la contabilità condominiale. Esercita l’attività di amministratore di condominio sul territorio di Pomezia dal 1995.